Ci sono voluti cinque anni di lunga attesa e di una cocente sconfitta, ma alla fine, il giusto lustro è stato dato a L’incredibile Hulk. Via, dimentichiamoci del clamoroso insuccesso ad opera di Ang Lee, applichiamo anche noi, come i romani di cui siamo discendenti e lontani parenti, la damnatio memoriae e confiniamo all’oblio quella pellicola. Quale? Appunto!
Cosa serve per fare un film del genere ben riuscito? Ovviamente un primo disastroso tentativo, perché da quelle ceneri si può andare avanti, facendo gioca forza e saltando tutta l’introduzione classica di un nuovo personaggio, che invece è già presente nella nostra memoria. Ma se si deve dimenticare tutto, allora non si può sfruttare neanche questo scivolo di sicurezza, quindi? Semplice ed efficace: titoli iniziali in rapida successione che fanno intuire e presentano tutta la genesi, o almeno i punti salienti e quelli che servono a costruire la cornice, poi i restanti tasselli del puzzle verranno adagiati pian pianino in modo egregio.
Chapeau Louis Leterrier. Traduco per i non francofili: tanto di cappello signor regista! Cosa si può volere di più dalla vita? Magari un cameo con Capitan America, ma non ci lamentiamo. Di lui si parla, o meglio si intuisce, perché c’è sempre questo siero del super soldato che passa da un braccio all’altro e anche il Generale Ross (William Hurt) si lascia andare ad una confidenza ad Emil Blonsky (Tim Roth) accennandogli appunto del progetto iniziato decenni prima.
Ma restando in tema di camei non ci si può proprio lamentare: iniziamo da quello di Stan Lee, vegliardo sempre in forma e onnipresente in tutte le pellicole fumettistiche; Lou Ferrigno, che oltre a dare la voce ad Hulk nel suo temibile grido di battaglia Hulk Smash, per noi non anglofili Hulk Spacca, si mangia addirittura una pizza a sbafo come guardia addetta alla vigilanza dei laboratori universitari; Nick Fury, o almeno solo il suo nome, nei titoli iniziali come file delle Forze Armate – purtroppo non si è ripetuto il suo passaggio dopo i titoli finali come in Iron Man – e dulcis in fundo, anzi un poco prima, Tony Stark, o meglio Robert Downey Jr, che sempre adamitico, fa staccare alla Marvel un altro assegno.
Bello il montaggio, ottima la CGI e l’uso che se ne è fatto, scene d’azione a non finire e diciamoci la verità guardandoci negli occhi, è questo che vogliamo da un film del genere. Sì è vero, dura meno di due ore, ben 112 minuti, alla faccia di tutte le polemiche che si erano alzate quando si parlava di Edward Norton e della sua voglia di sviscerare tutta la drammaticità dei personaggi. Ci sono riusciti benissimo e quel che conta è che l’intrattenimento c’è. Reale! Consistente! Abominevole…
Il rapporto e l’intensità che riescono a creare Bruce Banner/Hulk e Betty Ross (Liv Tyler) è naturale, spontaneo e assolutamente credibile. Quasi commovente, soprattutto per chi cerca quella piccola lacrima per l’amore impossibile, contrastato e difficile da portare a termine. Anche i nostalgici possono sentirsi appagati, perché il bavero del giacchetto jeans tirato su, con inquadratura da dietro, le spalle chiuse, la testa rinsaccata, l’aria afflitta, la borsa a tracolla, la pioggia battente, i passi, instancabili, mossi uno dietro l’altro, il pollice in alto a fare l’autostop, sono un clamoroso omaggio alla serie tv che tanto ci ha fatto amare il personaggio negli anni ‘80.
E per i più adrenalici che dire? Beh, quando una scena finale con scontro annesso è così incredibilmente lunga, dettagliata, non ripetitiva, esaustiva e appagante, si può tirare un vero sospiro di sollievo. tanto da poter far dire, alla fine di tutto, che è migliore di Iron Man, ove la Sfida all’O.K. Corral è così rapida che ci si aspetta da un momento all’altro che venga il cattivo di turno.
Però, nonostante tutto, mi sento ancora in grado di dire che io voglio essere Tony Stark e non Bruce Banner. Come se non bastasse il non dover sempre trasformarsi, almeno Tony con le donne a letto ci può andare…